Le domeniche di nebbia, o quelle in cui la pioggia cade fitta e obliqua su cose e gente, si vorrebbe che il proprio hobby fosse collezionar francobolli o imbottigliare navi. Perché di uscire nelle intemperie per andare a vedere uccelli non se ne parla nemmeno. Già, essere un birdwatcher e aspettare la domenica lustrando binocolo e cannocchiale, già pregustando la visione di aquile e aironi, e dover rinunciare per una previsione una volta tanto dimostratasi non fallace, fa male. Non tanto, ma fa male. C’è quindi tempo per leggere qualche buon libro, e se il libro ha a che fare con l’ornitologico passatempo, tanto meglio.

Mi sono così ritrovato, in un eolico e pluviale week-end, a leggere un libercolo istruttivo e divertente sulle personalità del mondo ornitologico. Mi sono sempre chiesto, avvertendo i miei amici che stava approssimandosi in cielo un’Aquila di Bonelli, o spiegando che cosa significa il nome della mia ex casa editrice, Ara di Spix, chi fossero questi signori, Mr. Bonelli e Mr. Spix. Le pagine di quel libro me lo hanno svelato, mi hanno svelato la provenienza di molti eponimi.

Eponimo, chi era costui? Tralascio il significato classico della parola, che ha a che fare con arconti e consoli delle antiche civiltà romana e greca, per spiegare solo l’accezione moderna nel campo delle scienze biologiche: un eponimo è lo scienziato, studioso o, vedremo in seguito, anche il delinquente, che dà il nome ad un particolare aspetto di una scienza biologica, come una sindrome o una malattia in medicina (il morbo di Parkinson, tanto per intenderci) o, come nel nostro caso, una specie di uccello in ornitologia (il Gabbiano di Sabine, tanto per intenderci).

Eponimi antichi e moderni

In origine, il termine eponimo indicava il personaggio, in genere mitico, a cui si attribuiva la fondazione di una città o di una stirpe, come Alessandria da Alessandro Magno. In seguito, era l'arconte, ad Atene, o i consoli, a Roma, che davano il proprio nome all'anno in corso. Titolare di questo diritto era anche il presidente degli
Alessandro durante la battaglia di Isso (Museo Archeologico Nazionale di Napoli). Si narra che Alessandro Magno tracciò al suolo la pianta della città di Alessandria servendosi, in mancanza di altro, di grano. L'episodio venne interpretato come segno di un futuro di ricchezza
efori a Sparta. Nel corso dei secoli il significato si è allargato ed oggi eponimo indica un personaggio, sia esso reale o fittizio, che dà il suo nome a una città (San Pietroburgo, da San Pietro), un luogo geografico (Seychelles, da Jean Moreau de Sechelles), una dinastia (i pipinidi, da Pipino di Landen), un periodo storico, un movimento artistico, un'ideologia politica (marxismo e leninismo, ovviamente da Karl Marx e Vladimir Lenin) e altro. E in questo "altro" allignano curiosità e stranezze, come ad esempio gli "hooligans" i violenti del calcio (o di altri sport), che devono il loro nome ad un politico irlandese, Patrick Houlihan (ma non è storicamente chiaro se fosse lui stesso un teppista o se avesse emanato qualche editto contro tal malvezzo); o come i "bobby", i paciosi e disarmati poliziotti inglesi che derivano il loro nome da Sir Robert Peel, creatore della Civilian Metropolitan Force; o come la penna "biro" chiamata così dal suo inventore, l'ungherese László József Bíró. E lo sapevate che molti eponimi derivano dalla ditta che per prima commercializzò un determinato prodotto? E' questo il caso del clacson (dalla fabbrica Klaxon che lo commercializzò nel 1914), del kleenex (la Kleenex-brand fu la ditta che per prima ideò negli anni venti i fazzolettini di carta), e dello scotch (dal nome commerciale del nastro adesivo prodotto dalla 3M).

Così ho scoperto un sacco di notizie interessanti, curiose e divertenti. Ci sono più di millecento eponimi ornitologici, da Abbot a Zoe in ordine alfabetico, per parlare solo degli eponimi della lingua inglese. Ci sono poi gli eponimi del linguaggio scientifico, su cui torneremo in seguito, come ad esempio Zavattariornis stresemanni, il cui nome inglese, Stresemann’s Bush Crow, onora il professor Erwin Friederich Theodor Stresemann (1889-1972) ornitologo e collezionista tedesco, ma non il professor Edoardo Zavattari, scienziato ed esploratore anche lui scomparso, per una curiosa coincidenza, nel 1972. Al professor Zavattari, Edgardo Moltoni, il più insigne ornitologo italiano del secolo scorso, dedicò la nuova specie da lui scoperta in Etiopia e descritta nel 1938. Ed è un vero peccato che l’illustre Zavattari sia celebrato solo nel nome latino, molto meno appariscente al pubblico non specialista, perché sarebbe l’eponimo ornitologico italiano più recente. Parleremo ancora di Moltoni e Zavattari, che, con Alessandro Ghigi, sono state le figure più carismatiche dell’ornitologia italiana nella seconda parte del XX° secolo.

Il Corvide di Zavattari

In questo bellissimo uccello sono celebrate due persone, due insigni ornitologi. Uno di essi compare nel nome italiano, uno in quello inglese ed entrambi in quello scientifico.
Corvide di Zavattari (© Roberto Garavaglia). L'areale di questa specie, il cui habitat preferito è rappresentato da una campagna degradata, è ridotto a non più di 4.600 kmq. nella parte meridionale dello Yabelo Wildlife Sanctuary, in Etiopia
Ne manca però un terzo, e precisamente
lo scopritore della specie, il nostro illustre Edgardo Moltoni (1896 - 1980), che la scoprì in Etiopia nel 1938 e, una volta classificatala, la dedicò a due eminenti ornitologi del tempo, il Prof. Edoardo Zavattari (1889-1972), docente di zoologia, direttore dell'Istituto Zoologico dell'Università di Roma e intrepido esploratore, e il Prof. Erwin Friederich Theodor Stresemann (1889-1972) ornitologo e collezionista tedesco: il nome scientifico del Corvide di Zavattari è per l'appunto Zavattariornis stresemanni, in inglese Stresemann's Bush Crow. Moltoni, lo scopritore della specie, è, nel nome della specie, dimenticato, ma, come si può leggere nel testo dell'articolo, questo è abbastanza comune nelle scoperte ornitologiche. Il Corvide di Zavattari è una delle poche specie di uccelli, tra le 10.000 esistenti, con un eponimo nel genere e delle ancor più poche caratterizzate da un doppio eponimo, nel genere e nella specie

Abbiamo accennato al linguaggio scientifico e quindi, prima di raccontare storie pionieristiche di ornitologi e ornitologia, vale la pena di introdurre che cos'è e chi lo inventò. Un essere vivente, animale o pianta che sia, viene identificato, senza possibilità di confusione alcuna con nessun altro essere vivente della terra, con un doppio nome latino. Fu lo svedese Carl von Linné, latinizzato in Linnaeus e italianizzato in Linneo, a inventare nel 1737 la nomenclatura binomia e la sistematica moderna. Linneo scelse la lingua latina per la sua universalità e tutte le nuove specie da allora descritte lo furono in latino, o latinizzando nomi di persone o cose, aggettivi e persino espressioni dialettali locali. La prima pubblicazione di Linneo sulla sistematica da lui introdotta fu chiamato Systema Naturae e constava di sole undici pagine, che diventarono invece quattro corposi volumi nella dodicesima edizione del 1766. Oggi le specie di uccelli sono, da sole, più di diecimila, e solo la carta sottilissima e il corpo cinque ne rendono possibile l’elencazione in un singolo volume.

A sinistra il frontespizio della prima edizione del Systema Naturae, la prima opera sulla sistematica di tutti gli organismi viventi. A destra il suo inventore, lo svedese Carl von Linné, latinizzato in Linnaeus e italianizzato in Linneo


T orniamo al nostro Edoardo Zavattari. Anche se non abbiamo un universalmente conosciuto Zavattari’s Bush Crow, non dobbiamo lamentarci, in quanto gli italiani onorati in una specie ornitica sono 23, e non è male in una ideale classifica che va dalla singola onorificenza di un personaggio delle Samoa ai 331 personaggi di nazionalità, manco a dirlo, inglese (meglio di noi hanno fatto solo, oltre agli inglesi, olandesi, tedeschi, francesi e americani). Nella ventina di italici onorati ci sono ornitologi come Bonelli, etnologi come Loria ed esploratori come Antonio Raimondi, ma anche persone più comuni, come il bancario milanese Turati, e nobiluomini e nobildonne, come la regina guerriera Eleonora di Arborea, eroina sarda che emanò una serie di leggi per la protezione degli uccelli da preda. Non c’è bisogno di dire che la regina è onorata nel “nostro” Falco della regina, Eleonora’s Falcon in inglese. Il falco fu osservato per la prima volta in Sardegna nel 1830 e fu nominato in onore di Eleonora da un altro eponimo italiano, il generale napoleonico Alberto Ferrero della Marmora (Marmora’s Warbler Sylvia sarda). Ma si dovettero aspettare altri nove anni per avere la descrizione della specie, che fu fatta da Francesco Gené, un altro italiano che, come vedremo, ebbe a che fare con un gabbiano.

Il nome attribuito a una specie di uccello può essere quello dello scopritore, quello del descrittore o quello di una terza persona a cui il primo o secondo hanno dedicato la specie. Facciamo un po’ di chiarezza. La descrizione di una specie nuova alla scienza prevede un protocollo particolare che fortunatamente, e vedremo in seguito il perché dell’avverbio, è cambiato nel corso dei secoli. La descrizione della nuova specie è, in pratica, la descrizione dello “specimen” ottenuto direttamente sul campo o in un museo: in entrambi i casi (un’ovvietà nel caso del museo) si tratta di cadaveri, più o meno bene impagliati. Ed è a questo “type specimen” che si riferisce la consacrazione di ogni nuova specie. Il nome di ogni specie è seguita, nei lavori scientifici, dal suo descrittore (non lo scopritore) e dall’anno in cui questa descrizione è stata fatta. Come già accennato in precedenza, la specie può essere stata raccolta anni, o anche decenni prima, e può già avere un nome scientifico e vernacolare  (inglese, francese, etc…) attribuitogli dallo scopritore: in questo caso il descrittore lascerà immutati tali nomi.

Frequentemente, però, ad uno studioso poteva capitare di osservare uno specimen che giaceva in un museo tra cento altre “pelli” simili, ma con una strana curvatura nel becco, o un’insolita colorazione delle zampe, particolari che non furono notati dal raccoglitore di quell’animale. Così poteva accadere, e può accadere ancora oggi, che una nuova specie venga “scoperta” in un museo anche cento anni dopo la sua raccolta. Ecco perché molti eponimi sono relativi a collezionisti, curatori di musei e tassidermisti. Fortunatamente, in tempi recenti, la gloria della scoperta di una nuova specie non passa attraverso le attività di macelleria che gli esploratori di una volta dovevano mettere in atto per poter esaminare “campioni”. E cioè: spedizione nei tropici centroamericani, massacro di diecimila colibrì, scuoiamento degli stessi, asportazione delle parti deperibili, legatura di una targhetta di riconoscimento alla zampina, spedizione al museo che ha organizzato la spedizione, ritorno a casa, individuazione della nuova specie, che chiamerà poi Colibri imbecillei, Imbecille 1677.

Oggi, fortunatamente, è diverso. Un esempio illuminante. Nel 1989, nel cortile di un ospedale di Bulo Burti, in Somalia, fu individuata un’averla, dal piumaggio molto simile a quello delle “averle di macchia” africane (genere Laniarius); l’animale fu catturato nel gennaio del 1989 e studiato. Le valutazioni biometriche  e l’esame del DNA provarono che l’individuo in questione non apparteneva a nessuna specie conosciuta. Dopo 14 mesi in cattività durante i quali non era comparso alcun altro individuo simile, gli ingegnosi ornitologi che l’avevano catturato e studiato cominciarono a sospettare che la nuova specie non doveva essere, almeno da quelle parti, molto comune, e quindi fu liberato. La liberazione dell’averla diede lo spunto agli studiosi che, due anni più tardi, compilarono la descrizione ufficiale per il suo nome scientifico: Laniarius liberatus (*).

Ma ci siamo un poco allontanati dal seminato. Gli eponimi ornitologici in lingua inglese sono in tutto 1.124 e si riferiscono a 2.300 specie e sottospecie di uccelli. Poiché non esiste una lista ufficiale degli uccelli del mondo in italiano, e quelle esistenti hanno modificato molti nomi originali inglesi, trasformando l’eponimo in un carattere somatico dell’animale, non è possibile fare una stima degli eponimi italiani. E’ possibile invece avere il quadro preciso degli eponimi della lista ufficiale degli uccelli italiani: sono 31 e onorano 29 personalità (Peter Simon Pallas e Wilhelm Peter Eduard Simon Rüppell due specie a testa).

Peter Simon Pallas



Peter Simon Pallas (1741 – 1811) è stato un biologo, zoologo e botanico tedesco. Dopo la laurea in Scienze Biologiche all' Università di Berlino, intraprese una serie di spedizioni scientifiche consecutive in Russia, ove rinvenne i resti del Mammut. Sono ben 13 le specie di uccelli a lui dedicate e tutte legate alle sue avventure in Russia e nell'Asia Centrale. Tutte specie, per noi birdwatcher, da leccarsi i baffi. Qui sopra tre esempi: Zigolo di Pallas, Luì di Pallas, Aquila pescatrice di Pallas, e sotto uno spettacolare volo di Sirratte di Pallas. Tutte le foto (© Dick Forsman)




Dietro agli eponimi ci sono avventure e avventurieri, furti, omicidi, ornitologi schiacciati da elefanti e annegati nell’oceano, uccelli inventati e uccelli misconosciuti. Un campionario di vizi e virtù, una galleria di personaggi che vanno da celeberrimi regnanti a oscuri bancari, da mogli affettuose a torride amanti. Qualcuno pescò nel mondo della mitologia, altri si affidarono alla Bibbia e alle civiltà antiche; così, ad esempio, un gufo reale onora un faraone (nessuno in particolare, in verità) Pharaoh Eagle Owl, un airone il biblico gigante Golia  Goliath heron; e ancora, un piccolo colibrì è dedicato alla musa della poesia epica Calliope, e il Tordo di Andromeda ricorda il mitologico figlio di Cefeo e Cassiopea, tutti e tre immortalati anche nelle omonime stelle. E’ stato scomodato persino il principe degli angeli ribelli, per dare il nome ad un altro piccolo e delizioso colibrì, Lucifer Hummingbird. E al cattivissimo titolare dell’inferno è stato dedicato anche un succiacapre, del quale il diavolo compare in entrambi i nomi, inglese e scientifico: Satanic Nightjar Eurostopodus diabolicus; ma, al contrario del colibrì, dove non si ravvisa nessuna motivazione logica nell’eponimia, il succiacapre fu così chiamato perché i nativi dell’isola di Sulawesi pensavano che l’animale emettesse il suo richiamo sinistro mentre strappava gli occhi a qualche sfortunato essere umano.

Tra i personaggi celebrati nel mondo ornitico ci sono, ovviamente, molti zoologi, e non solo ornitologi. Infatti, i naturalisti del passato che effettuavano spedizioni di ricerca (ricerca per modo di dire, naturalmente, datosi che lo strumento utilizzato aveva invariabilmente due canne tonanti e un grilletto) avevano sì una loro precisa specializzazione (entomologia, erpetologia, ecc…), ma i signori non disdegnavano raccogliere esemplari di altri classi di animali.

Altri eponimi tipici sono rappresentati da curatori di musei e tassidermisti, gente che non mosse un passo fuori da casa e si trovò immortalata in una bestia solo perché si accorse che era una bestia nuova. Un tipico caso è quello di Benjamin Leadbeter, onorato in due specie di uccelli. Alcuni tassidermisti del passato, così come alcuni illustratori, rientrano anche in un gruppo di eponimi non molto ambito, ma riconosciuto, e cioè quello dei ciarlatani e imbroglioni. Non citerò, in omaggio ad una privacy retroattiva di duecento anni, questi individui; ma vale la pena ricordare che molte specie immortalate in dipinti o in esemplari impagliati furono il risultato della fervida immaginazione, più o meno interessata, di tali personaggi. Il celeberrimo pittore John Gould, onorato in 24 specie di uccelli, fu autore di migliaia di splendide tavole, quasi tutte ritratti di animali impagliati, e molti di questi magnifici lavori si riferivano a creature mai esistite realmente, ma frutto dell’abilità dei tassidermisti che gli fornivano il materiale. Essi inventavano, letteralmente, nuove specie: un becco di qui, due ali di là, et voilà! Era così nota la loro tendenza a combinare parti di animali diversi, che quando fu presentata la prima preparazione di ornitorinco, la pubblica opinione si scompisciò dale risate accusando l’orgoglioso impagliatore di aver attaccato un becco d’anatra al corpo di un castorino!

E molti eponimi si riferiscono a individui senza scrupoli: bracconieri, soldati di ventura, mercanti di penne. Tra questi ultimi, l’olandese Anton August Bruijn, onorato in tre specie di uccelli della regione australasiatica, fu il più losco; nella seconda metà del XIX° secolo egli uccise e fece uccidere (impiegava regolarmente cacciatori locali) migliaia di uccelli. Dei 24 esemplari noti del Megapodio di Bruijn Aepypodius bruijnii, ventidue provengono dalla collezione originale del mercante! La specie si pensava estinta, fino a quando un individuo fu riscoperto nel 2002 nell’isola indonesiana di Waigeo.

Nei secoli scorsi l’ornitologia era un hobby praticato da uno stuolo di danarosi perditempo, aristocratici, diplomatici, avvocati, banchieri e politici, e molti di essi sono ricordati in altrettante specie. Il nostro Ercole Turati (1829-1881), conte e banchiere, possedeva un’enorme collezione di più di 20.000 pelli, che rese disponibile a diversi ornitologi e uno di questi, Jean Baptiste Verreaux, quello dell’aquila e gufo omonimi, gli dedicò un averla di macchia, Turati’s Bush Strike Laniarius turatii.

Ma la storia dell’ornitologia è anche ricca di avventure liete, esempi edificanti e personaggi squisiti. Poeti, artisti, splendide e intraprendenti esploratrici; compagne di una vita a cui gli ornitologi al loro fianco, come Hume, Moreau e Benson, dedicarono pigliamosche, pappagallini e fagiani. Ed è bello ricordare come, tra qualche eponimo biecamente razzista, Francoise Le Vaillant (1753 -1824) dedicò un cuculo africano al suo servo Klaas, un indigeno Khoi Khoi (ottentotto) che fu forse lo scopritore del cuculo nel 1784. Le Vaillant celebrò anche un’altra ottentotta, una bellissima ragazza dal nome impronunciabile che l’ornitologo ribattezzò Narina, e a cui dedicò il trogone omonimo. La ragazza, che le malelingue del tempo dicevano essere l’amante del francese, ha da allora vissuto e vivrà per sempre nel meraviglioso piumaggio dell’uccello africano.

Abbiamo già nominato, in questa breve rassegna, molti italiani passati alla storia per meriti ornitologici. Molti di essi hanno a che fare con uccelli esotici, e, anche se meriterebbero più rispetto editoriale, dedico loro solo poche righe. Il marchese Francesco Raggi, il cavaliere Luigi d’Albertis e il dottor Lamberto Loria sono consacrati negli omonimi uccelli del paradiso. Federico Craveri, a cui è dedicato il Museo di Storia Naturale di Bra, è ricordato in una specie di uria del Nordamerica, raccolta durante uno dei suoi numerosi viaggi in Messico. Il marchese Giacomo Doria effettuò, insieme a Filippo De’ Filippi, numerose spedizioni in Persia e a loro un altro eponimo italiano, il conte Adelardo Tommaso Paleotti Salvadori, dedicò, rispettivamente, una specie di sparviere e una di petrello. Salvadori merita due parole in più; con dodici specie a lui dedicate, è infatti il recordman in questa speciale classifica. Fu un eminente medico, con interessi nel mondo dell’ornitologia, e fu vicedirettore del Museo di Zoologia dell’Università di Torino dal 1879 al 1923. Il botanico Odoardo Beccari effettuò numerose spedizioni in Nuova Guinea, Borneo e nelle isole di Sumatra e Celebes, l’attuale Sulawesi. Louis Marie Panteleon Costa era un aristocratico sardo, amante degli uccelli e soprattutto di colibrì, di cui possedeva una notevolissima collezione; l’ornitologo Jules Bourcier gliene dedicò una specie.

Altri eponimi italiani sono molto più conosciuti, se non per la loro storia, in virtù delle quotidiane avventure dei birdwatcher. In ogni siepe d’Italia, purché vicino a un rivolo d’acqua, sentiamo l’esplosivo canto dell’Usignolo di fiume; il suo nome italiano non rivela l’origine, che invece è ben chiara sia in quello scientifico Cettia cetti, che quello inglese Cetti’s Warbler. Francesco Cetti era un prete gesuita con interessi nelle scienze naturali e matematiche; scrisse l’imponente Storia naturale della Sardegna, il secondo volume della quale è dedicata agli uccelli. Vicino agli ambienti frequentati dall’Usignolo di fiume si ode spesso il monotono trillo della Salciaiola, in inglese Savi’s Warbler: Paolo Savi era un naturalista, zoologo, paleontologo e geologo che studiò all’Università di Pisa, diventando professore di storia naturale e anche curatore e direttore del locale museo; scrisse la monumentale Ornitologia Italiana ed ebbe anche il tempo di diventare senatore del regno d’Italia; la locustella in questione fu da lui stesso descritta e autodedicata. Più difficile è osservare uno dei rapaci più belli d’Italia, l’Aquila di Bonelli, dedicata da Louis Jean Pierre Vieillot al nostro eminente ornitologo. Franco Andrea Bonelli era un ornitologo e collezionista piemontese; nel 1809 iniziò la sua attività di curatore del Museo Zoologico dell’Università di Torino, dove ricatalogò completamente la locale collezione ornitologica. Tale impresa lo portò a descrivere due specie nuove per il tempo, un’aquila e un piccolo passeriforme, il Luì bianco (Bonelli’s Warbler) che in seguito avrebbero portato il suo nome. Una delle specie di uccelli più rare del mondo è il Petrello di Fea, scoperto dall’italiano Leonardo Fea nelle isole di Capo Verde verso la fine del XIX° secolo. Un’altra specie mediterranea che onora un nostro conterraneo è la Magnanina sarda Sylvia sarda, in inglese Marmora’s Warbler. Alberto Ferrero della Marmora era un generale dell’esercito napoleonico, che si distinse in guerra e fu dal celebre corso personalmente decorato. Fu anche un grande naturalista e, oltre all’eponimo della silvia, è anche colui che dedicò il Falco della regina a Eleonora d’Arborea. Il nome scientifico del Gabbiano roseo, Larus genei, è dedicato al nostro Francesco Gené, lo scienziato che diresse il Museo Zoologico dell’Università di Torino dopo la morte di Bonelli. Prima di onorare un po’ più diffusamente gli ultimi, in ordine di tempo, giganti italiani dell’ornitologia, citiamo per completezza gli altri eponimi nostri conterranei. Il professor Carlo Passerini era un entomologo che operò nella prima metà del XIX° secolo; la sua collezione e i suoi lavori scientifici sono conservati nel museo dell’Università di Pisa. Il principe Eugenio Ruspoli assurse a fama eterna (almeno dal punto di vista ornitologico) per la scoperta dello splendido turaco omonimo, che egli “raccolse” in Etiopia, durante il suo primo viaggio
 
La copertina dedicata dal supplemento illustrato domenicale della Tribuna Illustrata all'incidente africano del principe Ruspoli, schiacciato da un elefante imbizzarrito che non gradì i tentativi del principe di farlo passare a miglior vita. La leggenda racconta che nella bisaccia del principe polpettato fu trovato l'esemplare del turaco che Salvadori, qualche anno dopo, avrebbe classificato e gli avrebbe dedicato
in Africa Orientale; primo e ultimo, perché nel 1893 un elefante superincazzato, dal principe ferito, del principe fece polpette. Ernesto Mauri, illustre botanico, fu il direttore del giardino botanico di Roma; è commemorato nel nome scientifico del Gambecchio occidentale Calidris mauri, una specie di trampoliere americano; il motivo di questa strana associazione sta nella sua amicizia con un altro illustre zoologo, Charles Bonaparte, che visse molti anni in America e contribuì all’identificazione della specie, che dedicò all’amico Mauri, scomparso qualche anno prima. La fama di Raffaello Gestro ebbe a che fare soprattutto con l’entomologia, di cui fu uno dei più grandi esponenti italiani; egli scoprì un migliaio di nuove specie di coleotteri e molte di esse portano il suo nome, così come qualche specie di mammifero e una specie di uccello, una tortora della Nuova Guinea. Luigi Sassi è onorato in un bulbul africano, da lui stesso descritto nel 1912. E per finire, ricordiamo Giovanni Antonio Scopoli (1723 – 1788), medico e naturalista la cui fama imperitura nulla ha a che fare con l’ornitologia, bensì, indirettamente, con la medicina: il farmaco scopolamina, infatti, è estratto dai semi di alcune piante Solanacee, una delle quali, la Scopola carniolica, fu scoperta e descritta dal nostro eroe. Per quanto attiene all’eponimo ornitologico di Scopoli, esso si riferisce ad una sottospecie di Berta maggiore. Scopoli, coevo di Linneo, con lui ebbe una fitta corrispondenza e fu uno dei primi scienziati ad adottare la nomenclatura binomia.

Cinque italici eponimi



Cinque personalità italiane che vivranno per sempre nel nome degli uccelli che gli sono stati dedicati. Da sinistra: la regina Eleonora, spagnola di nascita, ma sarda per storia e sposalizio, fu reggente del Giudicato di Arborea; si distinse per le sue capacità belliche e, per quel che ci piace, l'emanazione di una serie di leggi per la protezione degli uccelli da preda. Il Falco della regina Falco eleonorae, gli fu dedicato dal personaggio alla sua sinistra nell'immagine qui sopra, Alberto Ferrero della Marmora, un generale dell’esercito napoleonico che fu anche un grande naturalista. Oltre alla memoria imperitura donata alla graziosa regina, il generale è decantato nella nostra Magnanina sarda, che deve però essere tradotta in inglese per disvelare il suo eponimo: Marmora's Warbler. Più a destra ecco il grande Franco Andrea Bonelli, ornitologo e collezionista piemontese, ricordato nella splendida aquila e, solo in inglese, nel Luì bianco, orientale od occidentale che sia (Bonelli's Warbler). Seduto sulla sedia sta Paolo Savi, naturalista, zoologo, paleontologo e geologo: anche lui negletto nella nomenclatura ornitologica italiana dove la sua locustella è solo una Salciaiola, ma celebrato dagli ornitologi di Albione, che lo onorano di una Savi's Warbler. L'ultimo a destra è Luigi Maria d'Albertis, naturalista, esploratore e filantropo; non è ricordato in nessuna specie ornitica, ma fu lui che si battè strenuamente per regalare il nome del suo amico Francesco Raggi di Genova al meraviglioso uccello del paradiso conosciuto appunto come Uccello del paradiso di Raggi, e, in inglese, Raggiana Bird of Paradise


Tra il 1970 e il 1980 scomparvero i più eminenti ornitologi italiani del XX° secolo. Di alcuni abbiamo già parlato, ma vale la pena spender per loro qualche parola in più. Edoardo Zavattari (1883 - 1972) non era in realtà un ornitologo in senso stretto; fu infatti professore di anatomia comparata all'università di Pavia e, successivamente, docente di zoologia all'università di Roma. Effettuò numerose missioni scientifico-esplorative in Europa, Asia e soprattutto Africa, che consentirono la raccolta di abbondantissimo materiale zoologico, notevoli progressi nel campo della medicina tropicale e la risoluzione di problemi biogeografici e idrogeografici. Pare che Alessandro Ghigi (1875 - 1970), che fu rettore dell'università di Bologna dal 1931 al 1943, fosse molto interessato all'allevamento e agli studi genetici sugli uccelli: studi genetici come erano intesi al tempo, naturalmente; che significa lo studio dell'ibridazione tra specie diverse. Ghigi riuscì ad ottenere una varietà di fagiano passato alla storia con il suo nome: Ghigi's Golden Pheasant.

E per finire, assolutamente last but not least, il professor Edgardo Moltoni (1896 - 1980), il più eminente ornitologo italiano del XX° secolo, non a caso maestro e mentore di Pierandrea Brichetti, ex direttore del CISO (Centro Italiano Studi Ornitologici) e ultimo rappresentante di un'ornitologia da campo vecchio stile, la stessa che gli fu insegnata dal suo maestro. Moltoni fu infatti il primo ornitologo a girare con il binocolo perennemente a tracolla, per osservare sul campo il comportamento degli uccelli; egli fu un birdwatcher ante litteram e la sua figura rappresenta un ponte ideale tra l'ornitologo raccoglitore di specimen e il moderno etologo. Nel volume VII° della Rivista Italiana di Ornitologia, 1939, l'ornitologo Carlo Orlando dedicò a Moltoni la sottospecie di Sterpazzolina che il professore aveva scoperto poco tempo prima in Sardegna.

Il professor Edgardo Moltoni (© Pierandrea Brichetti), con lobbia e binocolo. Moltoni può essere considerato un ponte ideale tra l'ornitologo raccoglitore di specimen e il moderno etologo. A destra la Sterpazzolina Sylvia cantillans moltonii che gli fu dedicata dal suo collega ornitologo Carlo Orlando (© Dick Forsman)

Le ultime specie scoperte risalgono a pochi anni fa, anzi all'anno in corso, ma le ultime che destarono grande scalpore nella congrega degli ornitologi avvennero nel XX° secolo: il pavone trovato in Congo nel 1936, ad esempio, rivoluzionò le idee sulla distribuzione dei pavoni, ritenuti fino a quel momento specie esclusivamente asiatiche. Insignificanti (dal punto di vista estetico, naturalmente) passerottini grigiastri vengono scoperti a ritmo annuale in questa o quella foresta tropicale del mondo e i sempre più accurati studi genetici fanno spuntar come funghi nuove specie da questo o quel museo.

Nuovi sentieri per la gloria di qualcuno, si potrebbe pensare. Non è così, e per due motivi. Il primo è che, suppongo per carenza di personaggi illustri, le ultime nuove specie sono state tutte nominate, sia in latino che in inglese (lingua ufficiale dell’ornitologia, così come di tutte le altre scienze naturali), con attributi morfologici o relativi agli ambienti o alle aree dove vivono (toponimi). Il secondo perché, come accennato più sopra, molte delle nuove specie sono state trovate a tavolino, studiando il DNA di individui nei quali la sequenza genica era diversa per un microscopico pelino (in termine tecnico una sequenza, più o meno lunga, di basi azotate): e giù allora il conio della nuova specie “settentrionale” rispetto alla “meridionale” e “grigiofumo” rispetto alla “grigiotopo”. Non ci sono più gli esploratori, gli zoologi, i ciarlatani e gli avventurieri di una volta!

Uno degli ultimi eponimi ornitologici, ancora vivente, è stato artefice di una delle scoperte naturalistiche più entusiasmanti dello scorso secolo, anzi dello scorso millennio (ma, in soldoni, meno di quarant’anni fa). Jean Paul Ledant, un giovane agronomo belga (è nato a Namur il 14 luglio 1951), si trovava, nell’autunno del 1975, nel nord dell’Algeria, nella regione della Kabylia, dove stava effettuando ricerche sulle foreste nordafricane. Il mattino del 5 ottobre, alzando gli occhi ad un albero lì vicino, vide quello che sarebbe diventata la notizia ornitologica del secolo: un picchio muratore in Africa (**)! Descritto da Vieillard l’anno successivo, il piccolo passeriforme fu dedicato allo scopritore e chiamato Sitta ledanti. Mi risulta che gli eponimi viventi più giovani siano stati, fino a pochi mesi fa, Peter Tyree e Ian Ridgen (nati rispettivamente nel 1957 e nel 1956), due amici neozelandesi che, all’età di 11 anni (!) raccolsero i “type specimen” di due specie fossili di pinguino: le due specie scoperte dai bambini prodigio furono descritte entrambe nel 1972; Aptenodytes ridgeni e Pygoscelis tyreei onoreranno per sempre il ricordo dei due personaggi. Al tempo della pubblicazione di questo articolo, un'altra importante scoperta scuote il mondo ornitologico e del birdwatching: è ormai assodato che l'Allocco di Hume Strix butleri conti due specie, il vero e proprio Allocco di Hume, a cui si riferisce il type specimen del museo di Tring, e una nuova specie, l'Allocco del deserto, il cui nome scientifico Strix hadorami onora il celebre ornitologo Hadoram Shirihai, classe 1962; è lui, quindi, l'eponimo più giovane nella classe Aves.

Sono convinto che le specie di uccelli ancora da scoprire siano molte e che le impenetrabili foreste della Nuova Guinea o dell’Amazzonia, tanto per citare solo due delle aree più inesplorate del globo, celino ancora sorprese pari a quella del Picchio muratore algerino o del Pavone del Congo. Quindi coraggio: se volete immortalare la vostra compagna, il vostro maestro o voi stessi in una specie animale, e se non avete paura di rischiare la decapitazione ad opera di un daiaco del Borneo, la bollitura (o friggitura, a seconda dei gusti personali del cannibale chef) in Irian Jaya, il salasso del vostro patrimonio di emoglobina da parte delle immense sanguisuge malgasce, prendete zaino e fucile (caricato a freccette soporifere, please) e andate a scoprire l’ennesima specie di pigliamosche o il primo sorprendente pinguino amazzonico.

(*) studi successivi dimostrarono che l'animale in oggetto era una variante di colore dell'Averla di macchia di Somalia Laniarius erlangeri
(**) in realtà in Nordafrica è presente anche il comune Picchio muratore eurasiatico, il cui estremo sud-ovest dell'areale raggiunge le montagne dell'Atlante in Marocco